Ogni tanto, su questo blog, mi prendo un piccola vacanza dal quotidiano e mi metto a parlare di un libro che ho letto. Senza pretesa. Così, per il solo gusto di condividerlo con qualcuno (se c’è) dall’altra parte dello schermo.
Questa volta è diverso. Cedi la strada agli alberi di Franco Arminio (ed. Chiarelettere, 2017, pagg. 149, euro 13,00) è un libro che deve essere condiviso, raccontato, pubblicizzato. E comprato.
Perché se il 2017 è l’anno dei Borghi. Questo è il libro dell’anno.
Anzi è molto di più di un libro. È un manifesto politico. O un breviario di preghiere da recitare ad alta voce. Una specie di riassunto di argomenti e sentimenti a favore dei piccoli paesi.
È uscito in tutta Italia il 2 febbraio. Ed io ho avuto il privilegio di vederlo presentato a Biccari il giorno dopo. Dopo Rocchetta. E prima della Galleria Sordi a Roma e di tutti gli altri. Prima di tutt’Italia. Anche questo è un segno. Perché Franco Arminio “parte sempre da qui e sempre qui torna”. Sull’Appennino. Poco importa se dauno, irpino, molisano o lucano. Lui, pur vivendo ancora a Bisaccia nella casa di famiglia, ha “case e terreni in ogni paese dal Pollino alla Maiella”. È la casa della Paesologia.
Da venerdì sera, da quando ho ascoltato e guardato Franco, da quando l’ho visto inginocchiarsi di fronte ai ragazzi di Biccari e poi cantare con loro, vorrei che la “Lettera ai ragazzi del Sud” entrasse nell’anima di tutti i nostri giovani. Che “Non toccate la Lucania” fosse urlata in faccia a chi pontifica non sapendo nulla del Sud e a chi parla ma non ha il coraggio di starci dentro. Vorrei che tutti imparassero che da queste parti non bisogna chiedere favori e che non siamo in vendita. Vorrei che ogni mio compaesano prendesse un angolo di Biccari e lo facesse sacro. Vorrei che la politica riabilitasse i paesi.
Perciò Franco Arminio non andrebbe solo ascoltato, letto, raccontato e capito. Andrebbe soprattutto usato da tutti quelli che sono dalla parte dei paesi e dei piccoli comuni.
Per riabitare i paesi
non è questione di soldi.
I soldi servono a farli più brutti
a disanimarli.
Per riabitare i paesi servono piccoli miracoli,
miracoli talmente piccoli
che li possono fare uomini qualunque,
quelli che vediamo in piazza,
quelli a cui non chiediamo niente,
quelli che ci sembrano perduti.
Per riabitare i paesi bisogna vedere
quanto più è possibile le albe
e i tramonti, bisogna
credere ai ragazzi che sono rimasti
e quelli che potrebbero tornare:
abbiamo mai chiesto a qualcuno veramente
se vuole tornare?
Per riabitare i paesi ci vuole una nuova religione,
la religione dei luoghi.
Ecco il punto, la questione non è economica
ma teologica.