Nell’Italietta ipocrita, buonista e radical-chic che eleva la Boldrini a “presidentA” (come dice lei) della Camera dei Deputati, può capitare anche il portierone della Juventus e della Nazionale di calcio venga letteralmente preso a pallate. E non da Messi o Cristiano Ronaldo, ma da una caterva di anonimi scemotti comodamente seduti sui loro divani a commentare il mondo sui social.
La grande colpa di Buffon, manco a dirlo, è di essere un non allineato. Di avere la presunzione, pensate un po’!, di parlare oltre che di parare. Di non essere, insomma, solo una figurina Panini.
Recentemente, infatti, il campione del mondo di Berlino 2006, alla fine dei quarti di finale d’andata di Champions League, vinti a fatica dalla Juve sul Monaco, ha dedicato la vittoria a due ragazzi morti proprio il 14 aprile in circostanze, posti e modi diversi: Piermario Morosini (morto d’infarto su un campo di calcio) e Fabrizio Quattrocchi, capace di dire ai suoi aguzzini islamici in Iraq nel 2004 : “vi faccio vedere come muore un italiano”.
Ma se sulla prima dedica nessuno ha osato parlare, sulla seconda si è scatenato il putiferio con il numero uno della nazionale accusato indistintamente di essere fascista, di aver omaggiato un mercenario, di aver indossato in gioventù la maglia n. 88 del Parma, di aver scommesso e persino di non pagare le spese condominiali.
Nessuno, ovviamente, si è sognato di difendere la memoria di Fabrizio Quattrocchi e men che meno di tutelare il diritto di espressione di Gianluigi Buffon.
Il solo Tommaso Lorenzini di “Libero Quotidiano” ha giustamente fatto notate che se il calciatore avesse fatto un selfie con la t-shirt di Che Guevara o avesse dedicato la vittoria ad un Carlo Giuliani qualsiasi si sarebbe ritrovato immediatamente ad essere osannato come campione del libero pensiero e maestro di vita oltre che di sport.
E magari, aggiungo io, ad essere invitato da Fazio, Santoro o direttamente dalla Boldrini.