“A decorrere dal 1° gennaio 2020 un comune non può avere una popolazione inferiore a 10.000 abitanti”.
È l’allucinante art. 1 dell’ultimo DDL (n. 2731) depositato al Senato “per la fusione dei comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti”.
La proposta, con primo firmatario il senatore Gualdani (Alternativa Popolare di Alfano), non è comunque una novità assoluta. Anzi, alla Camera dei Deputati brillano ancora (per modo di dire) i disegni di legge del PD Lodolini (che fissa a 5.000 i limite di sopravvivenza) e quello più articolato ma con obiettivo pressoché simile di Capone (sempre del PD).
Sembra quindi che i parlamentari, specialmente se di area governativa, facciano a gara ad eliminare i Piccoli Comuni. Manco fossero il problema numero uno in Italia.
Evidentemente il pasticcio fatto da Del Rio con la presunta riforma delle Province non ha insegnato nulla. Anzi, persevera diabolicamente la voglia di continuare a fare danni – spesso irreparabili – sul sistema delle autonomie locali.
Perciò, anche se queste proposte sono più ridicole che altro, è bene comunque che si alzi il livello di attenzione. Dalla classe politica che scrive le peggiori leggi della storia italiana ci si può aspettare davvero di tutto. Questi poco illuminati legislatori, infatti, pretendono di smontare e rimontare l’ordinamento italiano ignorando storia, territorio ed identità. Parlano, scrivono e cianciano di Piccoli Comuni spesso senza conoscerli affatto. Un po’ come fanno i loro colleghi europei che, a tavolino, misurano la lunghezza dei cetrioli e i litri di latte che ci dovranno bastare. E’ una vera e propria degenerazione della politica che è incapace di avere valori e visioni e si accontenta di sfornare regole di poco senso. Come se la risposta si trovasse sempre e solo nei numeri.
Eppure non è così difficile capire che c’è bisogno di tutt’altro. Di riportare i servizi sul territorio e di invertire la rotta. Non solo nell’interesse di chi ancora vive nelle aree interne e nei Piccoli Comuni, ma dell’Italia intera che non può permettersi squilibri territoriali così gravi ed aree completamente spopolate. Presto i costi, non solo sociali, di questo processo di abbandono dello Stato e della Politica da interi pezzi del Paese saranno così elevati da non giustificare minimamente i pochi spiccioli che si pensa di risparmiare togliendo qualche Municipio.
Perciò bisogna ripartire dai Comuni e dalle Comunità. Dalla democrazia di prossimità, dalla partecipazione dei cittadini, dall’attaccamento profondo alla propria Terra ed alle proprie radici. E’ una battaglia culturale, prima che politica. E fortunatamente qualcosa si muove. Leggete qua:
http://www.lastampa.it/2017/05/26/italia/cronache/anche-i-comuni-nel-loro-piccolo-sinnovano-bqZ8SLWQtb5KePlzipA89N/pagina.html
Altro che leggi a tavolino. E centimetri.