Oggi tocca parlare di Bobby Sands. Un ragazzo libero che giusto trentasei anni fa sceglieva di morire a neanche trent’anni (ne aveva 27) da prigioniero.
Era il 1981. Nella civilissima Europa, il governo inglese di Margaret Thatcher reprimeva l’Irlanda del Nord e soffocava ogni soffio di indipendenza con metodi che oggi sarebbero considerati dittatoriali. I prigionieri politici venivano giudicati da un tribunale speciale con un solo giudice e rinchiusi in condizioni pessime negli H-Blocks. Bobby come tanti ragazzi del suo tempo credeva nella libertà e nella indipendenza della sua Irlanda. Finì nell’IRA e poi in galera perché quello era il destino di chi aveva visto troppe case distrutte, padri e figli arrestati, amici assassinati (cit).
Dietro le sbarre di long Kesh divenne scrittore, giornalista, poeta, ufficiale comandante dei prigionieri dell’IRA ed infine parlamentare regolarmente eletto dalla propria gente. Nonostante la carcerazione. Chiedeva solo che ai suoi compagni venisse riconosciuto lo status di prigioniero politico. Perché non erano criminali comuni. Almeno questo. Comunque troppo per l’evoluta Gran Bretagna.
Fu promotore, così, di proteste durissime. Dal rifiuto di indossare gli abiti carcerari vestendosi di sole coperte (la blanket protest) alla dirty protest (la protesta dello sporco) che vide i prigionieri vivere nei loro stessi escrementi spalmati sui muri delle celle per evitare di essere picchiati duramente dai secondini ogni qualvolta erano costretti ad andare al bagno a svuotare i buglioli.
Fino alla protesta più estrema. Lo sciopero della fame. Il primo durò 53 giorni e terminò solo quando, con un prigioniero dell’IRA ormai moribondo, la Thatcher promise ai detenuti un miglioramento delle loro condizioni. Ma la promessa restò tale ed allora Bobby il 1° marzo 1981 iniziò il secondo sciopero della fame. Non da solo. Altri prigionieri seguirono il suo esempio e tutta l’Irlanda del Nord ne parlava grazie anche agli articoli che un Sands sempre più debole riusciva a scrivere di nascosto su cartine per sigarette o su pezzi di carta igienica.
Dal Diario di Bobby Sands – 5 marzo 1981 – un mese prima:
Dico le preghiere – che verme! (E qualcuno potrebbe osservare: hai aspettato l’ultimo minuto.)
Ma io credo in Dio e, sarà presunzione, sono convinto che lui e io ci capiamo bene in questa
bufera. Riesco a ignorare la presenza del cibo che mi sta continuamente davanti agli occhi. Ma ho
voglia di pane nero, burro, formaggio olandese e miele. Ah! Non lo faccio per autolesionismo,
perché tanto credo che il cibo terreno non faccia vivere gli uomini in eterno e mi consolo con il
fatto che sarò nutrito abbondantemente lassù (se ne sono degno).
Il 5 maggio, dopo 66 giorni di sciopero della fame e 25 da deputato carcerato, Bobby Sands si lasciò morire nell’infermeria del carcere. Nei giorni successivi la stessa tragica sorte toccò ad altri 9 giovani prigionieri.
In centomila si raccolsero in strada per i suoi funerali. La notizia raggiunse ogni parte del mondo ed ovunque si parlò della sua voglia di libertà.
“Ero soltanto un ragazzo della working class proveniente da un ghetto nazionalista – scrisse tra le altre cose in carcere – ma è la repressione che crea lo spirito rivoluzionario della libertà. Io non mi fermerò fino a quando non realizzerò la liberazione del mio paese, fino a che l’Irlanda non diventerà una, sovrana, indipendente, repubblica socialista”.
Oggi possiamo leggere il diario di Bobby Sands. Incontrare qualche strada a lui dedicata (anche in Italia). Sentire i tifosi protestanti del Rangers sfottere quelli cattolici del Celtic con cori di scherno dedicati a Bobby Sands o vedere qualche film come “Una scelta d’amore” (1996) di Terry George e Hunger (2008) di Steve McQueen. Possiamo anche ascoltare qualche canzone, se cerchiamo bene.
Possiamo fare tutto. Tranne che dimenticarlo.