L’altra sera abbiamo presentato la Comunità Energetica di Biccari. La proposta tecnica e giuridica di E’nostra (partner del Comune di Biccari nel progetto) è stata illustrata a cittadini, amministratori, portatori di interessi alla presenza anche di Marco Bussone, presidente di Uncem, e del direttore del Gal Meridaunia Daniele Borrelli. Le prossime settimane saranno dedicate, in parallelo, alla progettazione degli impianti fotovoltaici (ubicati sui tetti delle case popolari, grazie alla collaborazione di Arca Capitanata) e alla raccolta delle pre-adesioni da parte dei cittadini. In buona sostanza ci saranno impianti condivisi e cittadini che ne beneficeranno.
Ma attenzione: non stiamo costruendo soltanto pannelli fotovoltaici su tetti di edifici pubblici. E neanche siamo solo a lavoro per trovare soluzioni per risparmiare qualche centinaia di euro sulla bolletta energetica. Questi, ovviamente, sono obiettivi nobili, ma per comprendere l’importanza del processo che abbiamo avviato bisogna avere la capacità di andare oltre.
Con la Comunità Energetica vogliamo continuare ad essere pronti ad intercettare i cambiamenti, vogliamo riaffermare che nel “nuovo Mondo”, in quello che si spera verrà fuori dalla transizione ecologica, anche i piccoli comuni possono e devono esserci. Vogliamo cambiare certi paradigmi e passare da utenti passivi a cittadini consapevoli, da meri consumatori a produttori, da spettatori a protagonisti.
Abbiamo un’occasione storica. Non si tratta solo di sfruttare qualche finanziamento o il comma di una legge che finalmente ci consente di fare qualcosa. La cosa è molto più grossa. Si tratta di capire che finalmente è il “mondo esterno” a muoversi verso noi “aree interne”: sostenibilità ambientale, fonti rinnovabili, filiere corte, rinnovata centralità delle comunità locali, sono tutte risorse e specificità che possiamo offrire noi, sono tutte esigenze che possono spostare attenzioni positive ed investimenti nei territori interni e marginali. Se transizione ci sarà, non può che essere verso di noi. E sarebbe la prima volta che lo sviluppo non prende (solo) la via delle città.
Dalle nostre parti abbiamo perciò l’opportunità di dimostrare che borghi e paesi non sono un retaggio del passato, un ricordo di un Piccolo Mondo Antico che non c’è più, una specie di riserva indiana ma, al contrario, che possono essere un luogo di sperimentazione e di innovazione.
Un luogo dove la capacità di reazione ai cambiamenti è addirittura superiore a quella delle aree metropolitane, dove la ricerca e l’elaborazione di nuovi modelli sostenibili viene praticata nella concretezza del fare quotidiano. Un luogo dove si può compiere la transizione ecologica ed ancor prima quella culturale. Un luogo di futuro e, dunque, di vita.
Lo spopolamento si combatte anche così. Giocando all’attacco.
Foto tratte da Google Immagini