Questo Parlamento non merita il taglio. Merita l’estinzione.
Ecco, l’ho detta. Quello che per definizione dovrebbe essere il luogo della riflessione e del confronto democratico, dunque della Politica (con la P maiuscola), si è auto-sacrificato sull’altare dell’anti-politica. Che finisca l’opera allora!
Il Partito Democratico con la sua ennesima capriola per restare al Governo ed il centrodestra con la sua ottusa coerenza non hanno fatto altro che portare acqua al mulino grillino. Non è mai un buon segnale quando si vota una cosa così impattante sulla spinta di esigenze contingenti, di calcoli del momento e di motivi privi di un orizzonte lungo.
Ed infatti, a fine giornata, sono i parlamentari del Movimento 5 Stelle ad intestarsi l’ennesima “storica vittoria” e a srotolare fuori Montecitorio il lungo striscione celebrativo che, non a caso, dice: “Meno 345 Parlamentari – 1 Miliardo per i Cittadini”. Non cose tipo: “Parlamento più snello ed efficiente”, come tentano di spiegare in seguito nei talk serali in televisione. La pancia è la pancia.
A questo punto però, il problema non è più Di Maio che peraltro ha già anticipato il prossimo passo per il definitivo svuotamento della democrazia parlamentare: il vincolo di mandato. Il problema è la resa culturale del resto della politica italiana che per incapacità o calcolo ha assecondato questa riforma inutile e dannosa (ne ho già parlato qui https://melascrivo.it/una-cosa-impopolare/).
Sondaggi a parte, i motivi sono facilmente intuibili: i leader di partito escono oggettivamente rafforzati dal taglio perché saranno ancora più decisivi nella scelta degli uomini da portare a Roma. Dal Parlamento dei nominati a quello dei cerchi magici il passo potrebbe essere cortissimo. Quelli prossimi al taglio, invece, grazie al patto di Governo possono continuare a nutrire la speranza che almeno questo giro di giostra durerà fino alla fine. Di più, in questo momento, non si poteva. A ben vedere, è una riforma per la Casta, non contro.
Resta il fatto bizzarro che questo Parlamento così improduttivo, costoso e ormai in via di smobilitazione dovrebbe, come ultimo atto significativo prima della sua uscita di scena, eleggere il prossimo Presidente della Repubblica.
Dietro gli opportunismi, i retroscena, le contraddizioni, i calcoli ed i sondaggi, però, c’è il paese reale. Che non merita di essere ingannato. C’è un Paese che, contrariamente a quello che gli viene detto, ha bisogno di una Politica più vicina ai cittadini e di più Politici che conoscono i territori. In un’Italia sempre più diseguale, divisa e frammentata c’è bisogno di avvicinare i cittadini (e ancor di più i giovani) e di ridare dignità ai territori marginali. Di portare al centro il punto di vista delle periferie. Di accorciare le distanze tra le varie aree del Paese, non di aumentarle. La riduzione tout court dei parlamentari ed il probabile allargamento a dismisura dei collegi elettorali rappresenta un gravissimo rischio per i borghi delle aree interne, le zone rurali e montane che potrebbero uscire definitivamente dai radar dei partiti e dall’agenda governativa. Del resto cinque piccoli comuni in termini elettorali valgono quanto uno o due condomini di città. Ed allora qui, dalla periferia dell’Impero, non resta che sperare nel referendum e battersi per fare in modo che la prossima legge elettorale migliori le cose, che contenga elementi di riequilibro territoriale, che i collegi vengano ridisegnati tenendo conto non solo del numero di abitanti ma anche dell’estensione e della tipologia dei territori.
E’ il caso di non abbassare la guardia.