Gianni Rusconi su Il Sole 24 Ore di oggi rilancia il tema: lo smart working da un piccolo borgo vale più della carriera.
Secondo uno studio commissionato da Citrix alla società di ricerche OnePoll il 53% dei lavoratori accetterebbe (o ha già accettato) una diminuzione di stipendio in cambio della possibilità di operare in una location alternativa alla propria abitazione cittadina.
Gianni Rusconi
Lo smart (o remote) working continua a far discutere nel bene e nel male. Io mi iscrivo convintamente tra quelli che lo ritengono una grande opportunità per i borghi italiani e le aree interne ma ad una condizione: evitare di pensare che basti “solo” la fibra.
Ci vuole anche la fibra. Mi spiego: per attirare lavoratori digitali o dare prospettiva di restanza ai nostri giovani occorre certamente risolvere il problema del digital divide, ma non solo. Occorrono normative di favore, svolte culturali, aperture mentali da parte di datori e lavoratori, ma anche destinazioni ospitali, luoghi ispirazionali, comunità relazionali. Bisogna lavorare sui territori, prepararli a questa eventuale prospettiva (immagino che non tutti i borghi siano adatti), allenarli all’accoglienza, alle aperture, farli diventare punti di passaggio e di arrivo e non solo e soltanto – come siamo stati abituati da sempre – luoghi di partenza, di emigrazione, di abbandono.
Insomma, immaginare che basti internet può essere superficiale ed illusorio. In un posto brutto ed inospitale non ci va nessuno neanche con la rete migliore del mondo.
A ben vedere questo aspetto emerge anche dallo studio di OnePoll richiamato da Gianni Rusconi su Il Sole di oggi. C’è una grande disponibilità a trasferirsi, a considerare l’ipotesi di lavorare da remoto anche rinunciando a possibilità di carriera, ma i luoghi scelti non sono mai banali…
Chi nelle seconde case di campagna, al mare o in montagna; chi in alloggi ricavati in agriturismi o ville destinate solitamente alle vacanze e ancora chi ha scelto la tranquillità di piccoli borghi che stanno cercando nello smart working (dalla Lunigiana a Montepulciano per arrivare al progetto smart village di Santa Flora, piccolo centro alle pendici del Monte Amiata) una soluzione per rinnovare la propria offerta turistica sperimentando nuove forme di hospitality.
Gianni Rusconi
Detto questo, i risultati della ricerca non lasciano spazi a dubbi.
Il 57%, degli intervistati afferma di essere disposto a trasferirsi dalla città a un’area rurale se potesse continuare a svolgere il proprio lavoro in modo flessibile e da remoto . Più di un lavoratore su due (il 53%), inoltre, conferma che accetterebbe (o ha già accettato) una diminuzione di stipendio in cambio della possibilità di operare completamente da remoto, senza alcun vincolo geografico.
Più di un terzo vuole andare a soggiornare in luoghi più tranquilli e cerca un costo della vita più basso, mentre più di un quarto è convinto del fatto che la pandemia abbia dimostrato loro di poter lavorare ovunque essi si trovino. E se prima del Covid-19, il 55% dei lavoratori pensava che vivere in una grande città avesse effetti positivi sulla carriera, oggi è di questo avviso solo il 36% mentre il 13% pensa che possa addirittura avere un effetto negativo.
Non resta che intercettare questa domanda, quindi. Chiedendo a gran voce il superamento del divital divide e normative favorevoli, ma senza dimenticarsi che a fare la differenza saranno sempre i luoghi e le comunità.