Le vicende degli ultimi giorni, con una Provincia assente e svuotata che ha assistito inerme ai nubifragi che hanno colpito i Monti Dauni (a proposito, tra una mozione sul gender e l’altra, aspettiamo ancora lo stato di calamità), avrebbero dovuto suggerire ad Emiliano un intervento più radicale e risolutore sul fronte caldo del riordino del sistema di governo regionale e territoriale. Ed invece, il testo di riforma appena varato dalla Regione Puglia praticamente non decide nulla e non risolve nessuna delle problematiche che assillano le autonomie locali (se è ancora possibile chiamarle così). A parte una serie di enunciazioni di principio, tutta la legge è un continuo rinvio a provvedimenti da adottare successivamente sia in tema di personale che di competenze. Una specie di delega in bianco alla Giunta che, per il momento però, lascia tutto inalterato. Così, fino al completamento della riforma, le funzioni continueranno ad essere esercitate (per modo di dire …) dagli enti attualmente titolari e quindi la Provincia continuerà a vegetare nel limbo in cui è stata lasciata da Delrio e, quel che più conta, a non fornire alcun tipo di apporto concreto al territorio ed ai Comuni (salvo avventurarsi in strampalate operazioni immobiliari, ma questo è un altro discorso …). Alla fine, lo stesso Governatore è stato costretto ad assumersi l’impegno di completare rapidamente la riforma.
Nonostante l’indeterminatezza del provvedimento, però, è possibile intuire alcune tracce del pensiero della nuova Regione targata Emiliano a proposito dei Piccoli Comuni. E sono dolori.
Già nelle premesse, infatti, il Disegno di Legge afferma un generico favore della Regione “nei confronti delle gestioni associate da parte dei Comuni delle funzioni e dei servizi obbligatori o volontari di competenza comunale”. Per poi, subito dopo, addolcire la pillola con fare ruffiano ribadendo “la volontà della Regione di non imporre modelli dall’alto”.
Ma sarà proprio così? A giudicare dal testo normativo, non pare proprio. Fin dal primo articolo, difatti, nonostante i buoni propositi, i modelli dall’altro vengono imposti. Eccome.
Il comma 6, ad esempio, senza neanche troppi giri di parole, capovolge il rapporto tra regola ed eccezione stabilendo che “le funzioni comunali sono di norma esercitate in forma associata”. Coerentemente con questa impostazione, il successivo art. 9 aggrava la già pesante normativa nazionale prescrivendo che: “l’esercizio in forma associata delle funzioni fondamentali dei Comuni (…) – si dice – nonché delle ulteriori funzioni comunali, è attuato mediante le modalità stabilite dall’art. 14 del DL 78/2010 convertito dalla L. 122/2010, dal Testo Unico degli Enti Locali e dalla L.R. n. 34/2014”.
La Regione, in pratica, non solo ribadisce, quanto già previsto dalla normativa statale, ovvero che i Piccoli Comuni devono obbligatoriamente esercitare in forma associata tutte le funzioni fondamentali, ma a queste aggiunge addirittura “le ulteriori funzioni comunali” e quindi, presumibilmente, anche quelle non fondamentali. Se due più due fa ancora quattro, allora tutte le funzioni comunali dovranno essere esercitate in forma associata. Ed ecco che l’eccezione diventa regola.
Ed allora delle due l’una. O si tratta, al di là delle ruffianate, di una scelta precisa, ponderata e mirata contro i Piccoli Comuni (ma perché non dirlo chiaramente?) oppure nessuno tra i sostenitori del provvedimento si è minimamente informato sulle posizioni dell’ANPCI, sulla parziale retromarcia dell’ANCI (si veda la Carta di Cagliari), sul rapporto della Corte dei Conti sulle unioni e sugli ultimi negativi dati del Ministero dell’Interno. E, quindi, il problema non se lo sono neanche posto.
Eppure, sarebbe bastato chiedersi i motivi della mancata attuazione della, pur richiamata, Legge Regionale sulla “Disciplina dell’esercizio associato delle funzioni” (la n. 34/2014) ed, in particolare, di quell’art. 10 che parla di dimensioni territoriali ottimali individuate dalla Regione “previa concertazione con i comuni interessati”. Oppure, informarsi sui monitoraggi effettuati dalle Prefetture sull’associazionismo comunale e sui pasticci di una governance locale scarabocchiata tra Unioni, ATO, Aro, Aree Interne, Aree Vaste, Piani e coordinamenti vari, tutti a geografia variabile, con perimetri sovrapposti senza alcuna logica ed organismi decisori poco funzionali, costosi e per niente trasparenti. O, più semplicemente, essere coerenti con gli impegni assunti e coinvolgere preventivamente le organizzazioni rappresentative dei Piccoli Comuni.
Considerata l’ampia delega in bianco lasciata al Governatore, c’è ancora tempo per una parola di chiarezza sul futuro dei Piccoli Comuni pugliesi e per esercitare un minimo di quella partecipazione e condivisione sempre annunciata e quasi mai praticata.
A meno che la sentenza non sia già stata emessa. Senza neanche uno straccio di difesa d’ufficio.