Franca Biglio, instancabile ed appassionata presidente nazionale dei Piccoli Comuni, ha commentato le ultime proposte della governativa ANCI con il sempreverde “Il lupo perde il pelo, ma non il vizio”. E ci sta tutto. Nel corso delle audizioni alla Camera dei Deputati per l’indagine conoscitiva sui processi associativi dei Piccoli Comuni, infatti, il vicepresidente nazionale di ANCI Matteo Ricci ha per l’ennesima volta auspicato la riduzione dei Comuni italiani. Quindi, la soppressione, l’accorpamento e la fusione di quelli più piccoli. Il tutto, nonostante le rassicurazioni della vigilia, il documento di Cagliari e, più in generale, le ultime retromarce dell’ANCI (a questo punto soltanto opportunistiche per cercare di fermare l’emorragia di adesioni, consensi e partecipazioni).
Ha straragione Franca Biglio, dunque. La solfa è sempre la stessa. Se possibile, tuttavia, io aggiungerei un altro detto popolare dal chiarissimo significato: “Dalla padella alla brace”.
A ben vedere, infatti, la nuova proposta dell’ANCI è addirittura peggiorativa per i Piccoli Comuni. Nel corso della sua audizione Ricci (ma parole e musiche sembrano essere di Renzi), insistendo sul fatto che 8000 Comuni sarebbero troppi, dice chiaramente che l’obiettivo finale della riduzione delle municipalità italiane dovrebbe essere raggiunto con un criterio alternativo che prevede un ulteriore salto di qualità (secondo loro).
“Il tema dell’aggregazione dei comuni, ossia delle unioni e delle fusioni dei comuni – spiega Ricci – non deve rimanere, come è oggi nella normativa, quasi esclusivamente legato all’obbligatorietà sotto i 5.000 abitanti o sotto i 3.000 abitanti per i piccoli comuni”. Occorre fare di più. Sentite qua.
“Noi proponiamo un criterio alternativo: sospendere la scadenza del 31 dicembre e contemporaneamente fissare un’altra data – noi abbiamo pensato al 30 giugno 2016 – entro la quale i comuni, area vasta per area vasta, definiscano quali sono i bacini omogenei. Noi proponiamo, quindi, un cambio di criterio, dal criterio demografico al criterio del bacino omogeneo. In ogni territorio noi abbiamo, per motivi socioeconomici, morfologici e storici, dei bacini omogenei. I bacini omogenei non corrispondono all’aggregazione forzata per i piccoli comuni. I bacini omogenei, anzi, spesso e volentieri nascono intorno a un centro più grande degli altri, che sia una città capoluogo di provincia, un centro medio in una vallata o una comunità montana che si trasforma in unione montana”.
Non più quindi aggregazioni tra Piccoli Comuni, ma individuazioni di bacini omogenei attorno ai centri più grandi. Sul modello del Piano Sociale di Zona, per intenderci, dove tredici, quattordici Piccoli Comuni gravitano attorno al capofila Lucera. Praticamente, l’inizio della fine.
L’ex bersaniano ora renziano Ricci, a nome di tutti i Comuni italiani (sic!), ma presumibilmente anche del suo Premier, spiega anche come dovrebbero essere definiti questi ambiti o bacini ottimali. Democraticamente, ma non troppo: “Chi dovrebbe definire questi ambiti ? I sindaci, secondo quello che noi proponiamo. Noi abbiamo l’Assemblea provinciale dei sindaci. Noi proponiamo di dare ai sindaci sei mesi entro i quali ogni territorio definisce gli ambiti omogenei. Se non lo fanno i sindaci, la regione si sostituisce e lo fa al posto dei sindaci”.
A scanso di equivoci, il concetto è ulteriormente chiarito in un passaggio successivo: “Noi abbiamo l’Assemblea dei sindaci a livello provinciale. Quello deve essere l’organismo che dice, area vasta per area vasta, che in un dato territorio ci sono 3, 5, 10, 12 bacini omogenei, anche qui non mettendo un criterio demografico, perché ci sono bacini montani dove il bacino omogeneo può essere di 20.000 persone e ci sono bacini – penso in Puglia – dove il bacino omogeneo probabilmente sarà di 300.000 persone (!!!!!!!), lasciando ai sindaci la possibilità di dire nel loro territorio, territorio per territorio, per motivi economici, sociali e morfologici, qual è il bacino omogeneo. Se non lo fanno i sindaci perché non accettano lo spirito della riforma e del cambiamento, scaduto il termine, lo fanno le regioni al posto loro”.
Ma non è tutto. Non basta. I bacini omogenei una volta costituiti devono diventare altro: “Questi ambiti omogenei devono diventare unioni dei comuni (…) L’idea che 8.000 comuni italiani rimangano così tali e quali è, a mio parere, irragionevole e prima o poi si scontrerà con la realtà (…). Dentro i bacini omogenei poi i comuni che volontariamente, attraverso il referendum, attraverso le normative già esistenti, decideranno di fondersi si fonderanno”.
L’intenzione, dunque, è chiarissima. Riunire i Comuni in bacini omogenei attorno ai centri più grandi, costituire le unioni e, successivamente, preparare il terreno per delle vere e proprie fusioni. Tutto, ovviamente, all’insegna dei termini perentori, dei poteri sostitutivi in capo alle Regioni e delle politiche di incentivi o disincentivi. Così, giusto per agevolare questi processi “democratici”.
Ma perché tutto questo? Perché smontare e rimontare tutta l’Italia? La risposta del numero 2 dell’ANCI è laconica: “Con le proposte che vi ho raccontato, se riusciremo, attraverso questo disegno, nei prossimi anni a far nascere le unioni dei comuni in ogni bacino ottimale e a spingere verso le fusioni, noi avremo ridotto sicuramente la spesa pubblica”.
È tutto qua il problema. Ridurre la spesa pubblica (cosa, peraltro, tutta da dimostrare).
Ora, non so voi, ma io sono terrorizzato da questi ragionamenti copia-incolla e da questa politica che delega le decisioni più importanti alle calcolatrici tascabili. Che è incapace di avere una visione dell’Italia (ma solo una divisione), che dimentica la sua missione più importante ed ignora i bisogni della gente. Che misura tutto in termini economici e, per questo, tenta di privatizzare l’acqua, favorisce il business dei rifiuti, chiude ospedali, tribunali e prossimamente anche i comuni senza preoccuparsi delle conseguenze sui cittadini e sui territori, condannando intere aree del Paese allo spopolamento, alla marginalità ed alla desertificazione .
E non mi voglio rassegnare all’idea che un Comune, un Sindaco ed i pochi Amministratori locali rimasti a fare volontariato civico debbano essere considerati (da chi poi?) niente di più di uno spreco da tagliare.
Perché non è vero. Perché non è onesto. Perché non è giusto.