Il problema è serio e non a caso è stato opportunamente trattato da Geppe Inserra, tra i più attenti osservatori e pensatori della Capitanata, nel suo blog Lettere Meridiane. “Meno pugliesi, meno foggiani. Monti Dauni a rischio desertificazione. Le proiezioni demografiche dell’Istat disegnano una prospettiva inquietante per tutta la Puglia. La crescita zero è ormai una realtà. In Capitanata una situazione lievemente migliore, ma non basta ad assicurare la sopravvivenza dei piccoli comuni”. Queste le parole di Inserra che rimandano alle più ampie riflessioni contenute nell’articolo intitolato “Come saremo tra cinquant’anni?” (http://letteremeridiane.blogspot.it/2011/12/come-saremo-tra-cinquantanni.html).
La serietà delle questioni sollevate, a dire il vero, avrebbe meritato un’attenzione maggiore da parte della politica e dell’opinione pubblica locale. Ma anche il “silenzio della classe dirigente”, purtroppo, è una cattiva abitudine già sottolineata da Inserra.
Ad ogni modo, se il nostro territorio è colpevolmente silente, qualcosa a livello parlamentare si muove. Partendo da una zona che più periferia non può essere. Dalla storica regione sarda della Barbagia di Seulo.
Sarà discussa a breve in Commissione Ambiente e Territorio, infatti, la proposta di legge sul “Ripopolamento dei Piccoli Comuni” presentata, come primo firmatario, dall’on. Romina Mura giovane parlamentare del PD e Sindaco del Piccolo Comune di Sadali (900 abitanti) in Sardegna.
La proposta, accolta favorevolmente anche da Borghi Autentici (una garanzia), punta a combattere lo spopolamento in atto nei Comuni con meno di 3000 abitanti attraverso l’introduzione del reddito di insediamento per chi scegliesse di risiedere nei piccoli centri situati nelle aree svantaggiate e nelle zone interne.
L’idea è quella di istituire un fondo annuale di 30 milioni di euro presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e di metterlo a disposizione dei Comuni per finanziare le “misure di incentivazione della nuova residenzialità”. Accanto al reddito di insediamento della durata massima di tre anni (640 euro per chi, non avendo reddito, sceglie di tornare o di andare a vivere in un Piccolo Comune), il fondo finanzierebbe anche i soggetti passivi dei tributi sul possesso di immobili o piccole attività economiche e gli ex residenti che intendono recuperare il patrimonio abitativo, ma anche contributi per l’acquisto di materiale didattico, la spesa alimentare o beni di prima necessità.
Al di là delle misure (sicuramente valide) la cosa positiva è l’analisi di contesto che le precede. Una fotografia fedele della situazione dei Piccoli Comuni a rischio spopolamento (molti dei quali condannati alla sparizione entro 30 anni), con la desertificazione produttiva ed umana che li caratterizza, con il pericoloso abbandono del suolo nelle zone interne e rurali, con l’interruzione di ogni forma di manutenzione del territorio, con la crescente rarefazione dei servizi al cittadino e l’accorpamento, spesso inadeguato ed irrazionale, dei servizi. Tutte cose che, come dice il primo firmatario, “condizionano in negativo un possibile percorso di vita in queste comunità, tanto da indurre i più giovani alla fuga”.
Importanti anche i passaggi che rimarcano l’importanza dei Piccoli Comuni nell’ambito del Sistema Italia, il loro essere un indubbio patrimonio valoriale, il loro ruolo di presidio vitale del paesaggio, dell’ambiente e della coesione sociale. Il loro essere, in definitiva, essenziali per il mantenimento di un equilibrio territoriale da mantenere e tutelare anche nell’interesse delle aree metropolitane.
Ed allora, nell’augurarci che l’iter parlamentare della proposta possa avere fortuna, proviamo a vedere il bicchiere mezzo pieno: nel Palazzo, qualcuno che conosce la situazione dei Piccoli Comuni c’è.
E’ vero, questo finora non è servito a scongiurare tagli, patto di stabilità ed accorpamento coatto, ma un lumicino di speranza persiste. Speriamo solo che possa avere la forza di diventare luce.