In molti mi hanno chiesto che cosa avessimo risolto con la protesta dello scorso 2 ottobre, quando insieme ad oltre 560 Piccoli Comuni, decidemmo di chiudere “per tagli” il nostro Municipio. L’iniziativa, è bene ricordarlo, pur partendo spontaneamente da Biccari e Castelnuovo della Daunia, fu immediatamente patrocinata dall’Associazione Nazionale Piccoli Comuni Italiani (ANPCI) e dall’Associazione Comuni Dimenticati, a conferma della serietà delle questioni sollevate. Non solo. Ai più attenti non sfuggì come quella decisione così radicale ed estrema seguì la grande manifestazione del 22 luglio a Roma in Piazza Montecitorio e, a livello locale, la riunione dei Sindaci dei Monti Dauni di qualche giorno dopo a Panni, nel corso della quale in molti proposero di uscire dall’ANCI di Fassino in segno di ulteriore dissenso rispetto alle politiche attuate nei confronti dei Piccoli Comuni nel sostanziale disinteresse di chi dovrebbe difenderli.
Oggi, grazie all’incessante lavoro dell’ANPCI, ai ripensamenti di ANCI, a momenti di riflessione e di protesta più o meno noti e coordinati ed alle sempre più numerose iniziative di Sindaci Ribelli (alcune delle quali ospitate in questo blog), possiamo dire che qualcosa stia cambiando.
Come annunciato dalla Presidente Franca Biglio, nella prossima legge di stabilità 2016 sono state accolte parte delle richieste avanzate da anni dai Piccoli Comuni (ed al centro della protesta del 2 ottobre), come l’allentamento di parte del patto di stabilità, la possibilità di utilizzo dell’avanzo di amministrazione per opere pubbliche, l’abolizione dell’obbligo di rivolgersi alle centrali di committenza per i lavori, beni e servizi sotto i 40.000 euro, l’eliminazione dell’obbligo di acquisti MEPA sotto i 1.000 euro e la mitigazione delle rigidissime norme sul pareggio di bilancio previste dalla legge n. 243/2012.
Allo stesso modo, anche da ambienti insospettabili come l’ANCI, arrivano le prime ammissioni sul fallimento dell’associazionismo obbligatorio per i Piccoli Comuni e sull’opportunità, quantomeno, di coinvolgerli in progetti di riforma che partano, come suol dirsi, dal basso.
Tutto bene dunque? Non proprio. Intanto, perché non c’è niente di scritto e di definitivo (e con certi politici non si può mai dire). In secondo luogo, perché stiamo parlando di misure che – se effettivamente introdotte e non solo annunciate – potranno rappresentare al massimo una boccata d’ossigeno, ma nulla di risolutivo, per chi per troppi anni è stato oggetto di una vera e propria tortura di Stato.
L’allentamento del patto di stabilità, lo sblocco degli avanzi di amministrazione e le altre misure annunciate, infatti, servono alla sopravvivenza dei Piccoli Comuni, non già alla loro esistenza.
Purtroppo, le misure straordinarie ed urgenti per evitare lo spopolamento delle aree interne, per l’equilibrio ed il presidio territoriale, per l’effettiva erogazione dei servizi minimi a tutti i cittadini italiani (non solo a quelli metropolitani) e per la messa in sicurezza (in tutti i sensi) delle aree marginali e periferiche non sembrano essere neanche a calendario.
Perciò, pur salutando con soddisfazione questi primi risultati a favore dei Piccoli Comuni (anche l’ANCI per fermare l’emorragia interna è stata costretta con Castelli e Pella ad ammettere che “I Piccoli Comuni tornano centrali nell’azione dell’ANCI”, visto che evidentemente per un certo periodo non lo sono stati…), è di tutta evidenza che occorre continuare su questa strada. Difendere i Piccoli Comuni. E, se necessario, farsi sentire.