Non solo nomi! (youcanprint, 254 p., 19 euro) è l’ultima fatica letteraria dello storico biccarese Giuseppe Osvaldo Lucera (in foto). Esce oggi, 23 aprile 2020, nella Giornata mondiale del Libro, ma non è solo un libro. E’ un progetto concreto di recupero della memoria e di ricucitura della Comunità locale. Sono contento di aver potuto contribuire con la mia prefazione che vi riporto qui sotto:
Sono almeno dieci anni che – accompagnato da autorità militari e religiose, circondato da scolaresche colorate e, purtroppo, da sempre meno Reduci e Combattenti – mi presento in fascia tricolore ai piedi del nostro Monumento ai Caduti.
Imponente, massiccio e poetico insieme. A me è sempre piaciuto.
I sentimenti che provo sono sempre gli stessi: onore, emozione, un pizzico di commozione. Spesso, lo confesso, ho pensato a quanto sarebbero stati contenti (e forse orgogliosi) i miei nonni nel vedermi lì sotto, col vestito buono e la fascia da Sindaco. Magari accanto a qualche gendarme in alta uniforme o vicino ad un bersagliere che suona il silenzio. Perché per loro, e per tanti come loro, il 4 novembre non è mai stata una giornata qualsiasi.
Da un po’ di anni, tuttavia, complici alcune letture e qualche visita ai luoghi del fronte, un altro pensiero si è periodicamente affacciato in quella giornata dedicata alla memoria. Non saprei dire il motivo preciso, ma la mia curiosità si è spostata, un poco alla volta, sui tanti, troppi nomi incisi su quella lapide affollata.
Così ho chiesto a Giuseppe Osvaldo Lucera di fare il suo mestiere di storico. Di provare a scavare negli archivi. Di cimentarsi, anche controvoglia, in una nuova fatica letteraria. Di tentare, in definitiva, la non facile impresa di riportare a galla le vicende umane che si nascondono dietro quel lungo elenco di nomi e cognomi.
Ne è venuto fuori un lavoro sorprendente in cui si intrecciano i grandi avvenimenti con le piccole umane vicissitudini. Tutte vicende in cui è la storia minuta che si prende la scena, che diventa più forte, più potente, finanche più dura di quella ufficiale scritta nei libri di scuola.
L’Autore, infatti, ci restituisce episodi talmente drammatici e sconvolgenti da non sembrare veri. Come l’assurdo destino di due fratelli mancati lo stesso giorno in due battaglie diverse. Oppure il fatale appuntamento di chi, sbattuto in trincea senza un minimo di preparazione, è finito con il cadere immediatamente, il primo giorno, al primo assalto. O ancora, l’atroce e inaudita combinazione di un padre e di un figlio morti rispettivamente nella Prima e nella Seconda Guerra Mondiale. E, per finire, la tragedia familiare di tre fratelli partiti senza tornare e di una mamma impazzita dal dolore e poi morta di crepacuore aspettando invano un ritorno che non c’è mai stato. Qualcosa di tremendamente simile alla più nota storia di Mamma Clelia e dei Fratelli Calvi o all’epopea cinematografica di Salvate il Soldato Ryan di Spielberg, ma senza lieto fine.
Qualcosa di inaccettabile ancora ora, a cento anni di distanza.
Ancor di più perché quelli incisi sul Monumento sono nomi e cognomi “nostri”, ancora comuni nel nostro paese, biccaresi come e forse più di noi, abitanti dei nostri vicoli, delle nostre strettele. Se non fosse per l’assenza di nomi femminili e di qualche cognome straniero, quel lungo elenco potrebbe addirittura sembrare l’appello di una qualsiasi classe della nostra scuola.
Anche per questo sono non così lontani come si potrebbe credere. Hanno ancora parenti e discendenti. Magari c’è qualcuno che si chiama esattamente così, come loro. E non a caso. E forse in qualche abitazione biccarese ci sarà ancora una loro foto sbiadita, il ricordo di un lutto antico, di un cammino interrotto.
Sono nomi dal suono familiare che racchiudono vite brevi ed infelici di giovani incolpevoli, strappati al loro già duro destino di braccianti e contadini per essere costretti ad un viaggio di sola andata verso un Nord sconosciuto, in cui hanno trovato fango e fame, freddo ed acciaio, trincee e granate, sangue e morte. Oppure, qualche anno dopo, (de)portati in giro per l’Europa e il Mediterraneo in una specie di triste Erasmus senza ritorno. Sono nomi, pronunciati con chissà quale accento, di caduti sul Grappa, l’Isonzo o vicino al Piave. O Di dispersi in Russia, in Albania, in Grecia, in Egitto o addirittura nel Mare del Nord.
Quei nomi sono figli cresciuti troppo in fretta, fratelli sperduti, famiglie spezzate, vedove ragazzine, mamme impazzite, padri mancati di bambini mai nati.
Sono lacrime che non si versano più, facce mai conosciute, generazioni saltate, storie finora mai raccontate.
Delle imprese belliche sono quello che resta sul fondo e che nessuno raccoglie.
Delle grandi epopee militari sono le comparse per le quali non si piange mai.
Sono l’indomani delle giornate radiose.
Sono il 5 novembre del 1918.
Ma forse sono anche il modo migliore per dare finalmente un significato reale a certe celebrazioni altrimenti solo retoriche e rituali; per tenere aperta, a prescindere da giudizi e valutazioni storiche, una ferita che ancor oggi deve fare male per avere un senso; per ricordarci che, anche nel mutare dei tempi, non siamo al riparo e che, quando arriva, la Storia Grande travolge tutti. Anche quelli che non c’entrano nulla, che non vogliono essere protagonisti, che non ne sanno niente delle cose del mondo.
Per questo sono grato a Giuseppe Osvaldo Lucera.
So che non è stato facile, ma nessun altro avrebbe potuto raccogliere il mio invito e restituire al nostro paese un’altra pagina strappata della sua storia, facendo riemergere dalla polvere degli archivi aneddoti drammatici, episodi curiosi e piccoli errori dei burocratici del tempo.
Sono certo che grazie alla sua nuova fatica è finalmente arrivato il momento di fare la conoscenza con quelli che lui stesso ha chiamato Figli di Biccari. Di farli uscire dall’ipocrisia dell’imperitura memoria per incontrarli in Mezzo alla Fontana, per abbracciarli in un bar, per chiedergli “a chi appartengono”, chi erano e chi sarebbero stati.
Grazie a questo prezioso volume è arrivato il momento di ricordarci che quei giovani biccaresi …
Non sono solo nomi.