Stai sereno a me proprio no. Non mi fido di Renzi che alla platea amica dell’ANCI dice che “I Comuni con meno di 5 mila abitanti non saranno più obbligati ad unirsi entro fine anno”. È lo stesso che il 12 novembre del 2013 dichiarava via twitter che: “questa storia che i Piccoli Comuni sono il problema dell’Italia non mi convince per niente. Non mi direte mica che lo spreco in Italia sono i piccoli comuni? Gli sprechi sono a Roma e nelle Regioni”. Poi si è visto cosa hanno passato i Piccoli Comuni dal 2013 in poi.
Certo, togliere di mezzo unioni e fusioni forzate sarebbe una gran vittoria. Soprattutto di ANPCI che da anni lotta per superare questi obblighi. Ma evitare di dare il colpo di grazia ai Piccoli Comuni, non significa salvarli. Non è automatico.
Non mi fido, anche e soprattutto perché ci sono modi e modi di “uccidere” i Piccoli Comuni. Non tutti sono avventati e spudorati come Lodolini, il deputato PD primo firmatario della proposta di legge di chiusura sic et simpliciter dei Comuni con meno di 5 mila abitanti.
Si può fare in maniera più subdola, sottile, lenta.
Pensate a Delrio, ad esempio, che con la sua legge, oltre a fare un gran casino con le province, ha ridotto i consiglieri comunali anche a 6 unità (minoranza compresa) per tagliare le “poltrone” (lo possano ammazzare, direbbe il collega di partito De Luca). Una cosa semplicemente indegna.
Oppure ai tantissimi lacci e laccioli che nel tempo sono stati stretti al collo degli amministratori locali, lasciati senza uomini e risorse a fare i conti con un mare di adempimenti formali, aggravi burocratici e vincoli di bilancio.
Per ultimo, iniziate a valutare gli effetti della c.d. Riforma Madia sui Servizi Pubblici Locali e, quindi, sugli abitanti dei Piccoli Comuni. Nonostante i proclami e le rassicurazioni, il testo contiene ancora la previsione di macro-ambiti (almeno quanto le vecchie care province) per la gestione associata di tutti i servizi pubblici locali. Compresa l’acqua. Compresi i rifiuti. Tutte cose che fanno gola ai grossi capitali finanziari ed alle grandi ditte.
Il tutto con alcuni dettagli di non poco conto: 1) l’esperienza degli ambiti dimostra che le tariffe aumentano sempre; 2) i Piccoli Comuni grazie al perverso meccanismo del voto ponderato (ogni Sindaco vota negli ATO in proporzione al numero degli abitanti che rappresenta) non conteranno una mazza; 3) i cittadini perderanno man mano di vista chi decide le loro tariffe, allentando quel controllo democratico che dovrebbe essere alla base di ogni rapporto sano tra eletti e rappresentati.
I Piccoli Comuni senza la possibilità di gestire in autonomia i servizi pubblici locali (con meccanismi di prossimità estremamente vantaggiosi per i propri abitanti) si perderanno progressivamente nelle pletoriche assemblee di ATO, Area Vasta e simili. Ed in quelle sedi, le scelte saranno prese dai grossi centri, dunque dai partiti che li amministrano, orientando i pochi benefici sui grossi bacini elettorali. E’ un film in parte già visto, ma che potrebbe diventare ben presto la regola.
Ecco perché bisogna stare attenti. Non farsi incantare dalla pur positiva approvazione alla Camera del progetto di legge Realacci – Terzoni o, peggio ancora, dalle dichiarazioni del bomba Renzi. Bisogna passare dalle parole ai fatti con misure ad hoc per i Piccoli Comuni. Il loro peggior nemico è l’omologazione. Bisogna esaltarne le differenze, se si vuole salvarli.