Il blog di Antonio Bianco, “Il primo magazine del Fortore” (antoniobianco.blogspot.com), regala sempre spunti interessanti. Questa volta, grazie all’intervento di Igino Casillo, docente di Economia aziendale, che torna su un tema a me molto caro. Ossia: sfatare il convincimento secondo cui le aree interne meridionali “non hanno risorse e, conseguentemente, non hanno alcuna possibilità di sviluppo”.
Il Fortore così come i Monti Dauni e molte altre realtà simili, infatti, vivono in un eterno paradosso. Quello di essere Terre ricche e povere allo stesso tempo.
Casillo cita l’ormai classico e sempre attuale esempio dell’eolico che genera milioni ma “non ha spalmato il benessere economico tra gli abitanti”. Ma il ragionamento potrebbe continuare con il gas e gli idrocarburi, l’acqua, i boschi, il paesaggio, il patrimonio culturale ed identitario e tanto altro ancora. Tutte ricchezze oggettive che però, per cause diverse, non sono bastate ad evitare lo spopolamento e le crescenti difficoltà di questi ultimi anni.
Perciò deve finire il tempo dei palliativi. “Ora che la crisi si è istituzionalizzata ed ha ridotto notevolmente gli spazi di intervento da parte del Governo centrale” – sostiene giustamente Casillo – “serve subito un cambio di passo (…). E’ necessario aprire porte lasciate chiuse che facciano entrare aria nuova, provare a percorrere strade non tracciate che rappresentino il giusto compromesso tra innovazione, cultura del territorio e politica di riferimento, e, infine, è fondamentale mettere insieme tutte le energie di cui si dispone”.
In questo senso, “il forte sentimento che lega gli abitanti al proprio territorio potrebbe rappresentare il vero collante”, un valore aggiunto, per la creazione di Paesi Aziende, con amministratori, imprenditori e residenti che si appropriano del proprio territorio e del proprio futuro per sperimentare diversi modelli per la creazione di opportunità di lavoro per i giovani.
“Aziende – per dirla ancora con Casillo – che si propongano allo stesso tempo l’obiettivo del profitto e quello della ricchezza sociale, che siano parte di un modello più umano, quello della promozione dell’economia sociale, la cui particolarità sta proprio nella valorizzazione del legame degli abitanti con il proprio territorio”.
Tutto ciò mi conforta perché, a veder bene, è un po’ quello che stiamo cercando di fare da queste parti , senza avere il coraggio di parlare di azienda, ma provando ugualmente a mettere insieme risorse, persone e visioni. Penso, in particolare, al percorso costitutivo di una prima Cooperativa di Comunità e della Comunità Ospitale di Monte Cornacchia (entrambi con l’ausilio prezioso di Borghi Autentici d’Italia), due occasioni d’oro per il nostro territorio, in cui i residenti sono chiamati, per prima cosa, a stare insieme e a ripartire da quello che il paese ha.
Non è una sfida semplice. Anzi. Richiede coraggio, impegno e l’assunzione di non pochi rischi. Ma sono sempre più convinto che le Aree Interne ed i Piccoli Comuni possono avere possibilità ed occasioni solo nella misura in cui saranno capaci di individuare strategie nuove, coniugando innovazione e tradizione, contaminazioni ed identità.
Ci deve credere la politica. E ci devono credere i cittadini.