Mentre alcune Regioni sembrano accelerare sulla privatizzazione dell’acqua (la Campania di De Luca), altre si lanciano in operazioni addirittura multinazionali (la Puglia di Emiliano con l’Albania) ed altre ancora procedono velocemente con l’applicazione del famigerato art. 7 dell’altrettanto famigerato Sblocca Italia, alla Camera dei Deputati, in Commissione Ambiente, è in discussione il disegno di legge n. 2212, che rappresenta forse l’ultima occasione per evitare un irreversibile processo di mercificazione dell’acqua.
La prima firmataria on. Patrizia Daga (M5S), infatti, ha predisposto un testo ambizioso e rivoluzionario. Per prima cosa, è sancito in maniera chiara ed inequivocabile che l’acqua non è una merce (sembrerebbe scontato, ma di questi tempi non lo è) e che è esclusa dal novero dei servizi locali di rilevanza economica e da qualsiasi altra influenza del mercato e della concorrenza. È esclusa, pertanto, la possibilità di generare profitti dalla gestione dell’acqua e dall’applicazione della tariffa che, al massimo, deve coprire soltanto i costi vivi con gli investimenti sulle reti lasciati alla fiscalità generale. Inoltre, è stabilita la inalienabilità del patrimonio idrico e delle reti a tutela anche delle future generazioni e l’erogazione gratuita di 50 litri per abitante come quantitativo minimo vitale giornaliero. Principi, questi, in gran parte già adottati nei Piccoli Comuni che, seppur sotto attacco, hanno ancora la fortuna e la possibilità di gestire il servizio in autonomia senza essere sotto padrone di chissà quale carrozzone.
A questo punto, al netto di alcuni suggerimenti formulati dall’ANPCI* (ad esempio, l’immediato recepimento della Risoluzione del Parlamento Europeo dello scorso 8 settembre), sono importanti due cose.
La prima, far conoscere e sostenere la proposta di legge. La seconda (al fine di non vanificare il tutto) bloccare immediatamente l’applicazione e l’esecuzione dell’art. 7 dello Sblocca Italia che prevede il passaggio obbligatorio delle gestioni dai Comuni ai mega-carrozzoni regionali variamente denominati e spesso propedeutici alla privatizzazione. Nel frattempo, per limitare i danni, basterebbe alzare il limite dello Sblocca Italia previsto per le deroghe ai Piccoli Comuni da mille a cinquemila abitanti.
Anche qui, insomma, l’esperienza dei Piccoli Comuni dimostra che si può erogare un buon servizio ai cittadini tenendo le tariffe basse. Basta non lucrare!
* Grazie all’Associazione Nazionale dei Piccoli Comuni Italiani ho recentemente avuto l’occasione di far parte della delegazione di Sindaci ricevuta in Commissione dal presidente Realacci e dalla prima firmataria Federica Daga. È stato un piacere ed un onore testimoniare, in quella sede, la posizione dei Piccoli Comuni insieme a due autorità in materia: Peppe Notartomaso (Sindaco di Campodipietra, CB) e Mario Gagliardi (Sindaco di Saracena, CS).