Bene, ma non benissimo.
Parlo della sentenza della Corte Costituzionale di ieri sull’annoso tema delle royalties spettanti ai Comuni territorialmente interessati dalla presenza di parchi eolici.
Certo, una pronuncia di segno opposto sarebbe stata addirittura catastrofica. E’ andata di lusso per quegli Enti che, rimasti improvvisamente senza royalties, rischiavano il dissesto finanziario. O per quelli addirittura condannati a restituire le somme a suo tempo percepite. Ma questa sorta di esaltazione collettiva per la sentenza della Corte ed i suoi effetti pratici mi sembra un tantino fuori luogo.
Gioire per aver evitato il dissesto finanziario, tuttavia, ci restituisce perfettamente la dimensione della condizione dei Comuni (e degli Amministratori comunali) rispetto al fenomeno eolico ed energetico in generale.
Una condizione di dipendenza e di marginalità che, a ben vedere, è stata addirittura rafforzata, se non altro per autorevolezza e definitività, dalla sentenza della Consulta con la pronuncia di ieri.
Per non sbagliare cito Italia Oggi:
“È legittima la norma della Legge di Bilancio del 2018 che ha prescritto la revisione delle vecchie convenzioni – liberamente pattuite prima del 3 ottobre 2010, tra gli operatori del settore dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, quale l’eolico, e gli enti locali – per adeguarle alle Linee guida ministeriali del 10 settembre 2010 e al contempo ha previsto il mantenimento della piena efficacia di questi accordi fino all’entrata in vigore della Legge stessa (1° gennaio 2019). È quanto si legge nella sentenza n. 46 depositata oggi (redattore Giovanni Amoroso) con cui la Corte costituzionale ha rigettato la questione di legittimità dell’articolo 1, comma 953, della legge n. 145/2018. (…).
La Consulta ha ritenuto ragionevole la scelta complessiva del legislatore finalizzata, da un lato, a garantire il mercato dell’energia da fonti rinnovabili, riallineando le condizioni degli operatori del settore; e dall’altro lato, a promuovere la tutela dell’ambiente e del paesaggio prescrivendo che le misure compensative siano, almeno in parte, specifiche, ossia di effettivo riequilibrio ambientale e territoriale, e non già solo “per equivalente”, ossia meramente monetarie, e siano comunque da considerare, ai fini fiscali, come costi nella determinazione del reddito d’impresa.
Secondo la Corte, la Legge di Bilancio del 2018 ha anche superato le incertezze interpretative sulla portata delle Linee Guida ministeriali del 2010 e della normativa precedente in forza della quale erano state pattuite le vecchie convenzioni tra operatori del settore ed enti locali. Queste incertezze avevano dato luogo a un contenzioso in cui i Comuni erano stati chiamati a restituire le somme già corrisposte dagli operatori del settore sulla base delle vecchie convenzioni, pur liberamente pattuite. Con decorrenza 1° gennaio 2019, le vecchie convenzioni dovranno essere riviste dalle parti in conformità alle prescrizioni delle Linee Guida ministeriali. Pertanto, le compensazioni sono dovute se volte al riequilibrio ambientale e territoriale, contenute entro determinati limiti percentuali e concordate nell’ambito della Conferenza dei servizi che coinvolge tutti i soggetti interessati, in vista del provvedimento di autorizzazione della Regione, e non autonomamente tra operatori economici e Comuni”.
Chiarissimo, no?
Le convenzioni tra società ed Amministrazioni comunali, in molti casi di durata trentennale, sono salve, ma solo fino al 31.12.2018, termine entro cui i Comuni hanno legittimamente il diritto di pretendere le royalties che erano state con esse pattuite.
Ma dal giorno dopo cambia tutto. Bisogna ricondurre – ricorda la Consulta – le predette convenzioni alla disciplina prevista dalle Linee Guida del 2010. Un cambio di riferimento normativo estremamente penalizzante per i Comuni. Ma almeno finalmente chiaro.
Leggere per credere:
– per l’attività di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili non è dovuto alcun corrispettivo monetario in favore dei Comuni, l’autorizzazione unica può prevedere l’individuazione di misure compensative, a carattere non meramente patrimoniale, a favore degli stessi Comuni e da orientare su interventi di miglioramento ambientale correlati alla mitigazione degli impatti riconducibili al progetto, ad interventi di efficienza energetica, di diffusione di installazioni di impianti a fonti rinnovabili e di sensibilizzazione della cittadinanza sui predetti temi;
– non dà luogo a misure compensative, in modo automatico, la semplice circostanza che venga realizzato un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili, a prescindere da ogni considerazione sulle sue caratteristiche e dimensioni e dal suo impatto sull’ambiente;
– le «misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale» sono determinate in riferimento a «concentrazioni territoriali di attività, impianti ed infrastrutture ad elevato impatto territoriale», con specifico riguardo alle opere in questione;
– le misure compensative devono essere concrete e realistiche, cioè determinate tenendo conto delle specifiche caratteristiche dell’impianto e del suo specifico impatto ambientale e territoriale;
– secondo l’articolo 1, comma 4, lettera f) della legge n. 239 del 2004, le misure compensative sono solo «eventuali», e correlate alla circostanza che esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale;
– possono essere imposte misure compensative di carattere ambientale e territoriale e non meramente patrimoniali o economiche solo se ricorrono tutti i presupposti indicati nel citato articolo 1, comma 4, lettera f) della legge n. 239 del 2004;
– le misure compensative sono definite in sede di conferenza di servizi, sentiti i Comuni interessati, anche sulla base di quanto stabilito da eventuali provvedimenti regionali e non possono unilateralmente essere fissate da un singolo Comune;
– nella definizione delle misure compensative si tiene conto dell’applicazione delle misure di mitigazione in concreto già previste, anche in sede di valutazione di impatto ambientale (qualora sia effettuata).
– le eventuali misure di compensazione ambientale e territoriale definite nel rispetto dei criteri di cui alle lettere precedenti non possono comunque essere superiori al 3 per cento dei proventi, comprensivi degli incentivi vigenti, derivanti dalla valorizzazione dell’energia elettrica prodotta annualmente dall’impianto.
Ora, il quadro che si è delineato va preso per quello che è. Piaccia o no.
Diverso sarebbe stato se la Politica si fosse attivata per salvare le convenzioni sottoscritte prima del 2010 per tutta la loro durata. Oppure se, come avviene per le royalties idrocarburi, avesse immaginato una norma che prevede in automatico delle royalties per Comuni e Regioni in proporzione alla produzione effettuata.
Invece il rinvio alle Linee Guida del 2010 sbilancia di parecchio i rapporti futuri tra società produttrici e territorio. A vantaggio delle prime.
I Comuni possono anche tirare un sospiro di sollievo per aver salvato i loro bilanci dai buchi degli anni precedenti, ma hanno anche perso definitivamente ogni ruolo che conta nella partita energetica sui loro territori: non autorizzano i grandi impianti – non hanno diritto alle royalties.
Chi sognava un protagonismo positivo dei Comuni e delle Comunità, chi immaginava ricadute maggiori per i territori interessati, chi pensava ad uno sviluppo armonico del fenomeno deve guardare altrove e pensare ad altre soluzioni (ad esempio le Comunità Energetiche).
Anzi, persiste e si consolida il paradosso energetico dei Monti Dauni che è al tempo stesso tra i territori energeticamente più produttivi d’Italia ma anche tra quelli economicamente più poveri.
Domani ancor più di ieri.