Mentre l’idea di chiudere i Piccoli Comuni per un giorno (il 2 ottobre) si allarga sempre di più, da sud a nord, raccogliendo tante adesioni da parte di Sindaci “ribelli” e, soprattutto, crescenti apprezzamenti dagli abitanti dei territori interessati, è appena il caso di sottolineare che non di sola protesta si tratta.
Anzi, da tempo i Piccoli Comuni sono laboratori di proposte e di programmi seri, concreti, credibili. Frutto di esperienze locali, di conoscenze specifiche, di prassi consolidate. Risultato del lavoro quotidiano di centinaia e centinaia di amministratori locali chiamati al difficile compito di rappresentare le Istituzioni in posti abbandonati dalle …. Istituzioni.
Da questo punto di vista, il documento programmatico approvato dalla recente assemblea nazionale di ANPCI guidata da Franca Biglio è qualcosa di molto simile ad un “Manifesto” per la sopravvivenza dei Piccoli Comuni. Si va da richieste generiche e di principio, come quella di sviluppare azioni di contrasto ai tentativi di ridurre i servizi indispensabili alla persona nei piccoli centri (scuole, uffici postali, caserme, ecc…), alla necessità di modificare rapidamente la Legge Dlerio n. 56/2014 e di passare dagli obblighi di gestione associata alla possibilità di libero convenzionamento fra Comuni. Centrale, ovviamente, è l’esigenza di eliminare i tagli lineari, l’IMU sui terreni agricoli ed il patto di stabilità per i comuni fino a 5.000 abitanti. Tutti provvedimenti che, in combinato disposto tra loro, stanno determinando il blocco totale di lavori, pagamenti e manutenzioni. Conseguente, è la richiesta di poter utilizzare l’avanzo di amministrazione (per chi ne ha a disposizione) per rimettere in circolo un po’ di soldi nelle già deboli economie locali. Altri tratti significativi del documento programmatico sono costituiti dall’abolizione del ricorso alla Centrale Unica di Committenza per importi fino a 40.000 euro e dalla necessità di ripristinare il precedente sistema di nomina dei revisori dei conti o, in subordine, di istituire un elenco provinciale in luogo di quello regionale. In entrambi i casi, occorre evitare complicazioni burocratiche del tutto inutili se non proprio dannose. Di pari passo, l’ANPCI evidenzia l’urgenza di semplificare la normativa riguardante il settore contabile e la spesa del personale. Così come è diventato indifferibile mettere a disposizione del personale comunale dei corsi di formazione e dei software uguali per tutti e gratuiti dal momento che ogni riforma, o presunta tale, si trasforma in un immediato mercato di programmi e, quindi, in un sostanziale costo aggiuntivo per ogni Comune. A salvaguardia dell’autonomia locale e del sacrosanto rapporto di responsabilità politica che intercorre tra amministratori ed amministrati, i Piccoli Comuni chiedono, altresì, l’eliminazione dei limiti di spesa specifici per l’acquisizione di beni e servizi. Non ha alcun senso, infatti, stabilire a livello romano e centrale che i Comuni fino a 5.000 abitanti non possano spendere più di un tot all’anno per automezzi, manutenzioni, incarichi, pubblicità, rappresentanza. Per zone turisticamente rilevanti, infatti, è di tutta evidenza che le spese di rappresentanza possano essere considerate veri e propri investimenti in promozione territoriale e dunque più importanti rispetto ad altri territori dove le esigenze sono diverse e di altra natura. Più di ordine politico, infine, sono le richieste volte all’istituzione di un Intergruppo Parlamentare che raccolga Deputati e Senatori amici dei Piccoli Comuni d’Italia e ad ottenere una riforma organica e condivisa di tutto il sistema delle autonomie locali che veda in primo piano l’esaltazione dell’autonomia organizzativa, fiscale ed impositiva riconosciuta in capo ai comuni dalla Costituzione.
A questa piattaforma, inoltre, si aggiungono iniziative ugualmente importanti e significative come le proposte di legge dell’On. Mura contro lo spopolamento dei Piccoli Comuni o il disegno di legge Realacci. Altre battaglie, infine, nascono proprio dai Piccoli Comuni in ogni parte d’Italia: in difesa dell’acqua pubblica, contro i tagli ai servizi sanitari, per una gestione sana dei rifiuti.
Insomma, agli osservatori più attenti non può certo sfuggire il fatto che i Piccoli Comuni non si limitano a protestare, lamentarsi o contestare. Sanno benissimo, invece, di cosa ci sarebbe bisogno e non hanno alcuna intenzione di iscriversi al Partito dei Gufi. Vogliono solo risposte concrete. Tutto qua.