Suggerisco un’approfondita lettura dell’Atlante dei Piccoli Comuni pubblicato lo scorso luglio dall’ANCI (http://www.anci.it/atlante-dei-piccoli-comuni/).
Tra numeri, statistiche e dati, emerge una realtà ormai conclamata: l’esodo dai Piccoli Comuni continua inesorabile.
Il 72% dei Piccoli Comuni italiani è a rischio spopolamento. La percentuale si alza all’80% considerando le sole Aree Interne. E non ci sono sostanziali differenze tra Nord e Sud.
Nei Monti Dauni il dato supera il 97%. Praticamente tutti i Comuni, tranne Candela, registrano un calo demografico più o meno significativo.
Siamo indubbiamente di fronte ad una grande emergenza nazionale. Anche perché parliamo del 69% dei comuni italiani e del 17% della popolazione nazionale.
Ragion per cui è necessario fare tutto il possibile per fermare l’esodo. Come? Innanzitutto non bloccando la Strategia Nazionale delle Aree Interne (nelle prossime settimane ci aspettiamo rassicurazioni chiare e definitive da parte del nuovo Governo). Poi, dando completa esecuzione alla Legge Salva Borghi (la c.d. legge Realacci rischia di restare una serie di belle enunciazioni di principio se non viene riempita di risorse e di provvedimenti attuativi). Infine, studiando ulteriori interventi di fiscalizzazione agevolata per residenti e nuovi investimenti, di semplificazione burocratica per i piccoli municipi, di pagamenti ecosistemici a favore di chi resta a presidiare territori fragili, di riorganizzazione della scuola e della formazione (i dati sulla valutazione del sistema educativo nei piccoli comuni sono preoccupanti) e tanto altro ancora.
In occasione di Montagna Aperta (una bella occasione di riflessione organizzata a Capracotta che si può riprendere su www.montagnaperta.com)), ad esempio, mi sono permesso di suggerire una sorta di Valutazione di Impatto Territoriale da applicare a tutte le norme di carattere generale per valutarne i possibili effetti nelle aree più fragili del Paese. Sono tantissimi, infatti, gli esempi di provvedimenti legislativi di ampio respiro, magari supportati anche da motivazioni condivisibili, che calati nella realtà dei Piccoli Comuni non garantiscono i risultati sperati o si rivelano addirittura dannosi. Insomma, a situazioni drammaticamente diversificate dovrebbero corrispondere soluzioni specifiche e mirate (ovviamente si tratta solo di un piccolo, modestissimo contributo).
Niente a che vedere con l’idea per certi versi rivoluzionaria annunciata dalla Regione Molise: il reddito di residenza attiva che riconosce 700 euro al mese di contributo per chi prende la residenza e apre un’attività per almeno cinque anni in uno dei piccoli borghi della regione. (https://www.corriere.it/economia/casa/19_settembre_08/arriva-reddito-residenza-attiva-700-euro-mese-molise-03393844-d26b-11e9-a7da-cb5047918faa.shtml).
È un tentativo che va studiato bene, seguito, incoraggiato e valutato sugli effetti pratici che produrrà. Ma è un segno di attenzione che, dobbiamo dirlo, da altre parti manca.