Monti Dauni e Fortore sono due fratelli seduti di spalle. Hanno tante cose in comune, ma raramente si vedono in faccia e dialogano tra loro…
Colpa anche di chi ha (dis)orientato tutte le politiche di sviluppo verso la pianura o comunque le città capoluogo. Anche per questo ieri ho molto volentieri raggiunto l’altro lato del nostro Appennino per partecipare alla presentazione dell’ultimo libro del prof. Leandro Pisano, Nuove geografie del suono. Spazi e territori nell’epoca post-digitale (ed. Meltemi, pagg. 194, euro 18,00).
Nella splendida biblioteca di Colle Sannita (BN), innanzi ad un pubblico folto ed interessato, ho avuto la conferma della mia iniziale impressione: il lavoro di Leandro Pisano (e più in generale il suo progetto “Liminaria,” nato per creare reti sostenibili nell’area rurale del Fortore utilizzando la sound art) può rappresentare uno stimolo interessantissimo per chi ha a cuore le sorti delle Aree Interne, delle zone rurali e montane e dei piccoli comuni.
Indagare le aree rurali attraverso la pratica dell’ascolto è sorprendente, perché permette di far emergere una realtà tutt’altro che vuota, passiva ed imprigionata a visioni nostalgiche e passate. Aiuta a liberarsi da preconcetti e stereotipi e a conoscere il territorio (il Fortore, nel caso esaminato) in maniera critica ed approfondita.
Ma attenzione! Non è mera contemplazione. Quello proposto da Pisano è un vero e proprio “atto politico” per superare una ruralità considerata soltanto dal punto di vista geografico e comunque marginale, abbandonata e priva di futuro ed immaginare, invece, nuovi scenari ed un futuro possibile.
“Il territorio rurale – spiega l’Autore – rappresenta un vero e proprio laboratorio all’interno del quale è possibile sperimentare pratiche attraverso una ricombinazione di elementi, forze e pratiche già esistenti in esso (…). Ciò che innova non è quello che viene dall’esterno, ma è piuttosto la facoltà di riassemblare forze, agentività e risorse endogene del territorio, già in circolazione, secondo modalità che ci consentono di collocare la ruralità nel focus della cultura contemporanea, sottraendola ad ogni possibile autoreferenzialità ed inserendola a pieno titolo nelle dinamiche dei flussi planetari”.
Dunque, ascoltare il territorio significa conoscerlo meglio, comprenderne i mutamenti e le energie ed, infine, renderlo contemporaneo.
A pensarci bene, essere contemporanei è una strada obbligata per evolvere coerentemente dal passato che conosciamo ad un possibile futuro da costruire.