Alla vigilia delle elezioni provinciali di Foggia, torno sul tema riportando integralmente una “schicchera” di Fabio Di Meo, già Sindaco di Cetona (Siena) ed attento conoscitore delle vicende che riguardano i Piccoli Comuni.
La bocciatura della riforma costituzionale ha ribadito che le province sono un ente costituzionalmente garantito ed evidenziato l’inadeguatezza di un’altra riforma, la Delrio, che, propedeutica alla loro cancellazione, è oggi ormai superata dai fatti. Tra i danni arrecati dalla riforma delle province c’è, non secondario, quello di aver cancellato le classi politiche provinciali. Oggi le province sono governate da sindaci e consiglieri comunali costretti ad operare in condizioni improponibili, con enti svuotati di risorse e competenze, e una strutturazione degli organismi politici confusa e inefficace. Non c’è più la dimensione autonoma del governo provinciale, che solo l’elezione diretta degli organismi politici da parte dei cittadini può restituire. Non solo è venuto a mancare di fatto (visto il ruolo marginale a cui è stato relegato) un ente intermedio tra comuni e regioni – tanto più importante per i comuni nel suo ruolo di coordinamento, indirizzo e garanzia, quanto più essi sono di piccole dimensioni – ma anche il relativo personale politico-istituzionale.
Le esperienze istituzionali che maturano nei comuni, una volta esaurito il loro percorso municipale, sono un patrimonio che andrà perduto, salvo quel poco che salirà ai livelli regionali o nazionali. Ciò vuol dire che andrà perduta la parte migliore dell’impegno civico del nostro Paese, quella formatasi a stretto contatto con la vita quotidiana dei cittadini.
Per non parlare del personale tecnico-burocratico delle province, trasferito ad altri enti insieme alle competenze, o rimasto a barcamenarsi in una situazione ingestibile. Anch’esso patrimonio di competenze e professionalità costruito negli anni, e sul quale le comunità provinciali hanno investito risorse e riposto aspettative, e che rischia di finire dissipato, disperso in mille rivoli e non più adeguatamente valorizzato.
L’assenza di un vero ente provinciale e della relativa classe politica avrà, e ne sta già avendo, ripercussioni enormi sugli equilibri territoriali del Paese, contribuendo a spostare l’asse dei poteri sempre più verso le zone a maggiore densità di popolazione, a scapito dei territori periferici.
Tutto questo significa il migrare di attenzioni, risorse, investimenti, servizi verso il centro del sistema, con il risultato di accentuare il fenomeno di spopolamento delle aree periferiche, e il rischio di innescare una sorta di nuovo urbanesimo.
Occorre una presa di coscienza del problema da parte della politica e degli amministratori locali, per far sì che le province da tema ad uso della demagogia anticasta quali sono state fino ad oggi, diventino elemento trasversale di rivendicazione politica territoriale.
Perché è questione che attiene a quell’onere di rappresentanza degli interessi e dei bisogni dei propri cittadini che risiede in capo alla politica locale ed agli eletti nelle istituzioni locali.
Il fatto che le province oggi non siano più questione di riforma costituzionale sgrava in parte il tema degli elementi di contrapposizione tra partiti e dentro i partiti, ed apre una nuova fase, più libera dalle logiche di schieramento.
Ci sono le condizioni, e c’è anche la spinta del buon senso istituzionale, se lo si vuol vedere al di là dell’arroccamento nelle proprie posizioni, affinché si apra un ragionamento serio sulla riattribuzione di competenze, nonché sul ripristino del voto dei cittadini per l’elezione degli organismi politici.
Nessuno però regalerà tutto questo. E soprattutto non si faranno carico del processo, se non fortemente sollecitate, né la politica nazionale, né quella regionale e né tantomeno quella delle città metropolitane.
In un momento storico in cui anche la rappresentanza politica è in capo quasi esclusivamente agli eletti nelle istituzioni, con i partiti locali spesso schiacciati sulle dinamiche e sulle istanze provenienti dalle loro dimensioni nazionali, sono i sindaci e i consiglieri dei piccoli comuni i primi che possono farsi promotori di un processo di revisione della normativa, superando anche divisioni di partito e tra i partiti, in nome della rappresentanza degli interessi e dei bisogni dei loro territori.
Amministratori locali spesso chiamati dai partiti a svolgere ruoli politici impropri, fino a volte a coincidere con il partito stesso, possono adesso, dentro una questione che invece appartiene naturalmente loro come quella della difesa delle autonomie locali, spingere il processo di reinserimento a pieno titolo delle province nel sistema istituzionale.
Le province possono rinascere da una poderosa spinta dal basso.
Fabio Di Meo
*www.agenziaimpress.it/imblog/la-nuova-ora-delle-province/