Se c’è una cosa che ci può insegnare questa ondata di freddo, gelo e neve è questa: il tema delle allerta meteo e delle responsabilità di protezione civile deve essere oggetto di una riflessione approfondita e radicale.
Altrimenti si rischiano effetti a dir poco ridicoli. Come la chiusura delle scuole anche senza neve e sul solo presupposto di previsioni diffuse a raffica da Protezione civile e Prefettura. Oppure i grandi dibattiti politici, ahimè, sui termosifoni.
Ora, se è vero che la prima risposta ad una qualsivoglia emergenza non può che avvenire a livello locale, è altrettanto vero che i Sindaci, riconosciuti come i primi responsabili della protezione civile (Legge 225/1992), devono essere messi nelle condizioni di poter assolvere realmente a questo compito istituzionale che è stato loro assegnato.
A cominciare dalla chiarezza delle informazioni. Secondo i numeri diffusi dall’ANCI non più tardi di qualche mese fa, il Sindaco di un Comune a rischio idrico/idrogeologico (ovvero l’87% dei Comuni italiani) riceve in media ogni anno 150 allerta meteo fra giallo e arancione. Ne deriva che se quel Sindaco dovesse dare sempre massimo seguito a tali avvisi dovrebbe paralizzare l’attività del suo Comune e, praticamente, occuparsi solo di quello. E, magari, in via precauzionale, chiudere le scuole un giorno si e l’altro no. Per ragioni di buonsenso, dunque, il più delle volte i Sindaci sono letteralmente costretti ad ignorare questi avvisi e a rischiare sulla propria pelle. Già, perché se non succede nulla di grave, tutto fila liscio e nessuno se ne accorge. In caso contrario, sono guai. Sempre secondo l’ANCI, infatti, sono circa 70 i procedimenti penali pendenti, relativi ad emergenze di protezione civile, a carico di oltre 200 persone tra sindaci, altri amministratori e dipendenti comunali con l’accusa di aver sottovalutato il segnale d’allarme. Magari il centesimo della serie.
È come un terno al lotto, con il Sindaco chiamato a valutare l’andamento e la gravità del fenomeno previsto, a definire il grado di allerta e a scegliere, spesso in poche ore, le misure più adeguate da adottare. Con quello che ha.
Già perché non può non essere considerato questo secondo aspetto. È evidente, difatti, che lo scarto tra le tantissime responsabilità appioppate al Sindaco e le pochissime risorse a disposizione è troppo ampio. Così come è chiaro che non si può pretendere di contare solo sul senso del dovere degli amministratori locali e dei volontari sempre pronti, in casi di vera emergenza, a farsi carico di tutte le falle del sistema. Ed allora, mandare in continuazione allerta meteo ai Comuni con relativi inviti, ad esempio, a “disporre attenti servizi di sorveglianza e prevenzione” a “monitorare costantemente le arterie stradali” e a “effettuare interventi necessari alla pubblica e privata incolumità” significa, di fatto, scaricare sui Comuni un peso insostenibile alla luce dei vincoli di bilancio, della rigidità della spesa, delle difficoltà finanziarie, del numero ridotto di personale e mezzi, delle condizioni di strade, ponti, corsi d’acqua, edifici pubblici e territorio.
Non si possono tagliare trasferimenti, introdurre vincoli, ridurre amministratori e personale dipendente e pensare di lasciare solo enormi responsabilità a chi rimane sul territorio.
Assegnare incombenze ed obblighi senza informazioni chiare, procedure certe e risorse disponibili serve, in caso di tragedia, ad avere un responsabile, un capro espiatorio, un colpevole che paghi per tutti da dare in pasto al sistema. Non a risolvere i problemi. Cosa che dovrebbe fare la Politica (la grande assente).