L’art. 114 della Costituzione li mette(va) sullo stesso piano delle Province, delle Regioni e dello Stato precisando che, tutti insieme, forma(va)no la Repubblica. “I Comuni – continua(va) la norma fondamentale partendo, forse non a caso, proprio dal livello istituzionale più vicino ai cittadini –le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione”. Così, senza distinzioni tra grandi e piccoli. I Comuni, sulla Carta, sono enti autonomi. E basta. Con propri poteri e funzioni. Secondo i princìpi fissati dalla Costituzione. Dalla Costituzione, capito? Non dal Governo.
Per i cittadini è così senza alcun dubbio. Lo dimostrano i dati di affluenza alle elezioni amministrative, l’indici di gradimento dei Sindaci, il senso di appartenenza alle Comunità Locali. Tutte cose che, man mano che il livello istituzionale si allontana e si ingrandisce (regionale, nazionale, europeo) lasciano il posto all’astensione o all’antipolitica.
Per i governanti, invece, anche no. Per loro, sembra che i problemi del Paese siano i Comuni. Meglio se piccoli. Forse per difendere loro stessi, hanno messo nel mirino gli Enti più deboli. Proprio quelli che, Carta costituzionale alla mano, dovrebbero avere autonomia e pari dignità.
Esagerato? Nient’affatto, se si pensa ai provvedimenti riservati ai più piccoli della Repubblica. Con la scusa della crisi, certo. Da anni, si assiste ad una sequela senza fine di tagli ai trasferimenti, di irrazionali patti di stabilità (ma non erano di stupidità !?), di tasse incomprensibili che durano una stagione, di norme cervellotiche, di obblighi, proroghe e rinvii, di limitazioni alla spesa per il personale, per i servizi, per tutto. E poi, alla chiusura di tribunali, ospedali, uffici.
Ma non è solo una questione di soldi. Al prosciugamento delle casse comunali, corrisponde uno svuotamento altrettanto massiccio di energie e competenze. L’inutile e miope taglio del numero di consiglieri ed assessori (gente che nei Piccoli Comuni percepisce al massimo qualche centinaio di euro all’anno); l’impossibilità di immettere nel circuito della pubblica amministrazione professionalità nuove, giovani ed adeguate ai tempi; il fiaccante adeguarsi a leggi, norme, circolari partorite al ritmo di una al giorno e capaci solo di ingrassare quel mostro burocratico che appare oggi la Pubblica Amministrazione. E poi, l’ubriacatura delle funzioni associate obbligatorie (senza se e senza ma!); delle Stazioni Uniche Appaltanti senza ragionevoli limiti; del Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione e della Centrale Unica di Committenza. Manca solo l’Ufficio Sinistri di fantozziana memoria. Tutte idee che, con il pretesto di risparmiare, fanno spendere di più. Non solo soldi, ma anche tempo ed energie. Niente, comunque, in confronto al proliferare di commissari e commissioni, di Piani di Gestione, di Aree Vaste ed Aree Interne, di ATO ed ARO obbligatori. Per l’acqua, per il gas, per i rifiuti, per i servizi sociali. Quasi sempre con il voto ponderato a scapito dei Comuni più piccoli (come per le nuove elezioni provinciali), con moltiplicazioni di costi per i cittadini, con uffici di piano e direttori da mantenere a cui corrispondono chissà perché peggioramento dei servizi, sperperi vari e numeri verdi (un incubo per gli utenti).
È evidente, dunque, che il disegno va chiarendosi sempre di più. Al di là delle più o meno veritiere retromarce dei Fassino di turno (aveva proposto, salvo ritrattare, l’accorpamento di tutti i Comuni con popolazione inferiore a 15 mila abitanti), ai Piccoli Comuni non resta niente, se non fronteggiare i problemi della gente.
Ed allora, tra minacce più o meno velate di voler chiudere i Piccoli Comuni ed ansie riformatrici che vanno sempre nella direzione opposta a quella dei cittadini, che almeno i Governanti avessero il coraggio di fare l’unica cosa sensata e coerente: cambiare per davvero la Costituzione.
Basta cancellare “Comuni” e scrivere “ATO”. E si risparmierebbero pure 3 lettere!