Lo so. E’ il terzo decreto in quattro giorni. Anzi, notti.
E che poi ci sono le FAQ. Le interpretazioni e i cavilli. Oppure quell’associazione di categoria col ditino in alto che scrive “si, però il mercato…”. E quelli che guardano sempre gli altri: “e perché noi si e loro no?”.
Ed i comportamenti individuali di irresponsabili, incoscienti, imbecilli. Ce ne sono troppi.
Intanto, sono giorni che facciamo avvisi che durano l’arco di poche ore. Anche stamattina ne ho fatto uno e mi appresto a farne un altro e poi continuo nel pomeriggio.
Perché anche ieri sera siamo stati chiamati ad ascoltare le ennesime dichiarazioni urgenti. Ci è stato fatto capire: “L’Italia chiude”. Che ora si fa sul serio perché si dispone “la chiusura di tutte le attività commerciali ad eccezione dei negozi di generi alimentari, di prima necessità, delle farmacie e delle parafarmacie”.
Bene!
Poi però c’è sempre la mattina seguente. Cioè oggi. E riparte la giostra. Esce il testo del DPCM con i suoi allegati. Lo confronti con le dichiarazioni della sera prima e non ti ci ritrovi. Cominciano telefonate e messaggi di gente che ti chiede cosa si può fare e cosa no. A capirlo! Ci metteremo uno o due giorni per avere le idee più chiare. Ma nel frattempo sarà uscito un altro decreto.
E si perde tempo.
E poi chi controlla? Non chiedetelo a me. Ai Comuni non dicono praticamente niente di più di quello che si apprende dalla televisione. ASL e Regione non ci calcolano proprio. Facciamo quello che possiamo con i mezzi, le risorse e gli uomini che ci restano. Tutto troppo poco.
Ok, lamentele a parte, chi deve chiudere oggi?
I bar, i ristoranti e i parrucchieri. Questo è.
Tutto il resto è aperto.
Se ne riparlerà al prossimo decreto. Magari già domani.
Oggi si può andare in profumeria, edicola e tabacchi, dal fotografo e in decine di altri negozi. Uffici, aziende, ditte artigiane, fabbriche sono tutte aperte. Con il rispetto delle distanze, a loro buon cuore. Lo smart working è un’eccezione per pochi illuminati e fortunati (al Comune lo facciamo, però).
Si, si può persino andare a comprare un cucciolo. I negozi di piccoli animali domestici possono restare aperti. Incredibile, ma vero.
Ma non si era detto tutto chiuso?
Non si era prescritto di limitare gli spostamenti per esigenze lavorative, necessità primari o motivi di salute?
Come facciamo a spiegare queste cose ai nostri concittadini se poi non è mai tutto credibile fino in fondo?
Dice “L’Italia chiude”.
No, “L’Italia chiude a metà”.
Sempre a metà. Le cose qui si fanno sempre a metà.
Non è polemica. Non me ne frega niente.
E’ una constatazione. Perciò vi dico, a maggior ragione, fate che le vostre case siano in quella metà chiusa.
Restate a casa.
Per voi, per quelli a cui volete bene. Per tutti gli altri che manco conoscete e che si stanno facendo il mazzo negli ospedali. Oggi ho sentito un caro amico che lavora in quello di Foggia. Con la solita grinta, ma con la voce stanca e preoccupata, cavolo. Fatelo anche per lui.
Ai decreti non ci pensate proprio.
A quello che dicono in televisione, ancora meno.
Restate a casa e basta.
(io, un sindaco)