“La Voce dei Sindaci delle Aree Interne – Problemi e prospettive della Strategia Nazionale”, a cura di Sabrina Lucatelli e di Francesco Monaco (Rubettino editore, 2018, 263 pp., € 18,00), è uno di quei libri da presentare in giro per i piccoli paesi in modo da suscitare riflessioni, discussioni, dibattiti.
Anche se tra i Sindaci ascoltati manca una voce dei Monti Dauni, le testimonianze di alcuni dei referenti delle 72 Aree Interne disegnano profili coerenti con il nostro territorio e la nostra situazione. Insomma, è facile ritrovarsi nel racconto di un Primo Cittadino calabrese piuttosto che di uno dell’Alta Carnia, di uno del Basso Sangro così come del Nuorese.
È la forza della Strategia Nazionale dell’Aree Interne. Aver riunito in un unico filo conduttore tutti i territori periferici, montani e rurali del Paese, restituendo loro innanzitutto riconoscimento, legittimazione, dignità e un luogo istituzionale di sostegno e di conoscenza dove ritrovarsi e scoprirsi non più soli e dimenticati. Tutte cose che, a ben vedere, vengono prima dei finanziamenti e che rappresentano una precondizione per affrontare e cercare di risolvere parte dei nostri problemi.
Per tutti questi motivi, ad esempio, la costituenda Federazione delle Aree Interne è il miglior approdo possibile non solo della Strategia in quanto tale ma dell’intero movimento culturale a favore dei Piccoli Comuni italiani.
Tra i tanti spunti interessanti c’è però un dato che vorrei in qualche maniera evidenziare e sul quale sarebbe il caso di aprire un nuovo approfondimento: quello dei cittadini delle Aree Interne. C’è qualcosa di profondo che va in qualche maniera affrontato e indagato.
Alla domanda su quali siano i maggiori punti di confronto con la cittadinanza, quasi tutti i Sindaci intervistati hanno risposto nella stessa maniera: le piccole cose, i lampioni e le buche. Non l’emigrazione, la disoccupazione, lo spopolamento, l’assenza di servizi. No, i lampioni. Alcuni Sindaci parlano esplicitamente dell’incapacità dei loro cittadini di andare oltre il piccolo bisogno quotidiano. Altri sono ancora più duri (“i cittadini sono sopravvissuti che galleggiano”). Ed in pochi si spingono addirittura oltre: “avremmo bisogno di una visione diversa”, di un “sogno”, di una missione.
Ecco, nel dettaglio, alcune tra le risposte più significative:
- “I cittadini di solito ci portano a conoscenza dei loro bisogni, che sono in genere di due tipi: la maggior parte delle richieste sono pratiche, semplici, come la sistemazione delle buche o delle fossette, le lampadine. Ci sono anche i cittadini che guardano più lontano…” (Marco Renzi, Sindaco di Sestino, area interna Casentino – Valtiberina, Toscana).
- “La popolazione guarda all’immediato, non a ciò che potrà essere nei prossimi anni: il lampione, la buca e il fatto di essere vicino al cittadino” (Angela Cristina Lella, Sindaco di Torrebruna, area interna Basso Sangro, Abruzzo).
- “Sui lavori, sulle strade, sui punti luce… il giudizio dei cittadini si ferma soprattutto alle piccole cose, mentre avremmo bisogno di una visione diversa” (Enrico Bini, Sindaco di Castelnovo né Monti, area interna Appennino Reggiano, Emilia Romagna).
- “Assolutamente sulle piccole cose; ma anche nei centri più piccoli c’è una fascia di persone che riescono a intravedere il sogno, capiscono che stai dando loro una mission. Ovviamente il tombino, il senso unico, la pietra, lo sfalcio dell’erba fanno il consenso di un sindaco”. (Micaela Fanelli, Sindaco di Riccia, area interna Fortore, Molise).
- “Mi sono resa conto che i cittadini il lavoro della Strategia non lo percepivano. Che si facevano sentire perché c’erano le lampadine di un lampione bruciate da due settimane. La sensazione è che i cittadini vogliano l’amministrazione di condominio, che era ciò che io non volevo fare almeno in via esclusiva. Un problema è che spesso i residenti non hanno una visione: sono i “sopravvissuti”, quelli rimasti. Sono persone in generale poco motivate che galleggiano” (Margherita Asquasciati, Sindaco di Fontanigorda, area interna Antola – Tigullio, Liguria).
- “L’elemento più critico che si ha da queste parti è la sfiducia” (Andrea Romano, Sindaco di Spinete, area interna Matese, Molise).
È evidente che non può essere un caso. E che non può essere “colpa” dei cittadini, ci mancherebbe. E’ un fatto però che la maggioranza degli abitanti dei Piccoli Comuni fatichi a sposare progetti a medio – lungo periodo. È probabilmente troppo delusa e sfiduciata per lasciarsi coinvolgere in visioni e missioni. Cerca la piccola soluzione alla piccola esigenza quotidiana. Forse perché, dopo anni di tagli e ristrettezze economiche, anche questa è avvertita come una conquista. Ad ogni modo non saprei dare una spiegazione a questo “sentimento”, ma so che occorre fare qualcosa. L’ordinaria amministrazione, per quanto importante, non può bastarci.
Ed allora deve scoccare l’ora della partecipazione. Quella vera, reale. Solo così ci si può salvare. Il futuro dei Piccoli Comuni non può essere una questione da addetti ai lavori.
La Strategia Nazionale delle Aree Interne deve coinvolgere maggiormente le popolazioni locali e farsi capire, perché senza di loro non c’è storia. Ma anche noi dal basso dobbiamo lavorare di più e meglio. È necessario riaccendere entusiasmo, partecipazione, voglia di fare tra i residenti. I progetti e gli adempimenti burocratici non bastano. Ci vogliono anima, passione, fiducia. È urgente trovare il modo di coniugare sogni e bisogni. I cittadini non devono sentirsi sopravvissuti, ma pionieri. Non devono galleggiare, ma cavalcare le onde.
Le comunità locali non devono essere più assenti dai grandi temi che riguardano il loro territorio. Vale per la Strategia Nazionale delle Aree Interne, ma anche per tutto il resto.
Prediamo, ad esempio, il caso delle trivellazioni nei Monti Dauni che, come denuncio spesso su questo blog, passano inosservate tanto da essere considerate di Serie B sia dal punto di vista degli impatti ambientali che dei ristori economici. Come già evidenziato a suo tempo da Geppe Inserra sulle sue Lettere Meridiane la differenza tra le prime trivellazioni degli anni ’60 e quelle di oggi sta tutta nella partecipazione popolare:
“Ormai quasi cinquant’anni fa, il rinvenimento di enormi quantità di gas e la percezione del rischio che potesse venire utilizzato altrove, produssero uno dei movimenti di massa più intensi della storia civile della Capitanata, culminato con l’occupazione dei pozzi e con la storica marcia del metano del 23 maggio del 1969. Trentamila persone scesero a Foggia dai paesi subappenninici, a piedi, per chiedere che il prezioso gas naturale scoperto nelle viscere dei Monti Dauni servisse ad alimentare industrie locali. La protesta popolare pagò. (…). Durante l’interessante dibattito che si è sviluppato, uno degli intervenuti mi ha chiesto perché, diversamente da allora, oggi i Monti Dauni non riescono a far valere le loro ragioni, e vengono puntualmente penalizzati, quando non apertamente sbeffeggiati, come nel caso della delibera della giunta regionale che ha destinato le royalties incassate dalla Regione per i giacimenti metaniferi del Subappennino ad altre aree e per altri scopi (…). E allora? Perché cinquant’anni fa sì, e oggi no? Perché il Subappennino non riesce più a farsi sentire, a difendersi? Ho trovato la risposta nella fotografia che illustra il post. Sulle prime sembrerebbe una delle tante che illustrarono la lotta per il metano nella primavera del 1969. Ma osservatela con attenzione.
È il popolo che scende in piazza. È il popolo che dice la sua. È la voglia di partecipare, di determinare il corso degli eventi. Questa splendida fotografia mostra un popolo che scende in piazza per costruire il suo futuro. È questa la differenza sostanziale tra oggi ed allora. È questa la chiave di volta per capire la sconfitta dei Monti Dauni. Mezzo secolo fa, interi paesi occuparono i pozzi, si riversarono nelle strade e nelle piazze per impedire lo scippo di quel gas che avrebbe aperto un capitolo nuovo per l’economia e per il lavoro.
In queste settimane, la dura presa di posizione dei sindaci dei Comuni danneggiati dalla scelta regionale ha provocato reazioni tiepide e distratte: qualche articolo di stampa o un po’ di social indignazione che non si nega mai a nessuno. Oggi il Subappennino perde perché le masse hanno smesso di essere protagoniste” (http://letteremeridiane.blogspot.com/2018/04/perche-il-subappennino-e-stato-sconfitto.html).
La storia insegna. C’è un vuoto da riempire. La chiave di volta, per la Strategia e più in generale per il futuro delle nostre piccole realtà, non può che essere la partecipazione e la consapevolezza delle comunità locali. E’ lì che si deve lavorare. Non può essere che il problema più sentito nei Piccoli Comuni sia quello dei lampioni spenti.
Abbiamo bisogno più di luce negli occhi, che di lampadine nelle strade.